L’alpinismo d’avventura è tornato! Questa volta su l’inospitale e remoto Fosso della Pila, una delle più affascinanti e aspre Forre che Iddio abbia donato agli uomini per la loro gioia e il loro tormento, è un monumento di vita, di forza e di audacia, dove l’uomo è un fragile ospite.
Tanti anni fa, quando ancora giovanissimi, ci si “affacciava”, sempre con il dovuto timore e rispetto, sul lussureggiante versante Nord del Gran Sasso, con il desiderio di esplorare i luoghi più remoti della montagna, specialmente quelle forre dove imponenti valanghe solcavano i pendii più deboli della montagna, trasfigurando ogni cosa che incontravano. Tuttavia, nella tarda primavera e all’inizio dell’estate, tutto questo movimento nevoso, lasciava spazio all’irruenza dell’acqua che tracimava in ogni dove, formando dei salti insuperabili anche con l’impiego di mezzi leali. A quell’epoca si facevano poche fotografie per documentare queste piccole imprese, uno era il costo dei rullini e il conseguente sviluppo, l’altro si preferiva il “mordi e fuggi” per ragioni lavorative e familiari. Comunque si vivevano dei momenti indimenticabili, anche con situazioni meteorologiche, a volte, non favorevoli. Rimaneva nell’anima la soddisfazione di aver tracciato e raggiunto luoghi ancora inesplorati.
A distanza di anni è ritornato, con rinnovata curiosità e con accresciuto interesse, il desiderio fortissimo di tornare sull’estremo settore settentrionale del Gran Sasso. L’opportunità di rivivere alcuni momenti, attraverso queste meraviglie naturali che, per le loro peculiari caratteristiche, fanno di questi anfratti un tutto che non hanno simili nell’intera catena appenninica. Una di quelle zone che nasconde nelle sue viscere i più grandiosi e impressionanti fenomeni naturali che la montagna può offrire: la violenta lotta dell’acqua con la roccia, in un orrido immane, superiore ad ogni immaginazione. Proprio in questa regione di incomparabile bellezza abbiamo ricominciato le esplorazioni. Da un’amplissima base di boschi lussureggianti, quanto mai fitti, la montagna si innalza, ammantata ancora dalla neve, caduta copiosa durante l’inverno, e rimasta nei più profondi canaloni, per terminare nelle due imponenti vette principali, il Prena e il Camicia, che chiudono la Catena orientale del Gran Sasso. C’è da dire che nel corso degli anni passati su questi pendii si sono abbattute violente slavine che hanno cambiato l’orografia del territorio.

Il primo tentativo lo abbiamo effettuato risalendo il torrente Leomogna che alla quota di ca. 1000 metri slm, confluiscono le acque dei ruscelli Rava e Pila. Era mia convinzione, forte dell’esperienza degli anni della giovinezza, che si potesse risalire l’alveo del torrente fino alla confluenza; purtroppo così non è stato, due salti di roccia e le copiose acque presenti ne hanno impedito la prosecuzione.





Il secondo tentativo lo facciamo con la carta topografica alla mano, cercando di risalire il torrente Leomogna attraverso una traccia pastorale che arriva fin sotto due salti di roccia con le rispettive cascate. Nel tentativo di aprire un varco, attraversando i resti di una antica slavina, ci ritroviamo su delle cenge erbose che non promettono nulla di buono. Raggiungiamo un contrafforte sotto una parete slavata da cui il passaggio è possibile solo con le necessarie protezioni. Anche questo secondo tentativo di raggiungere la “Grande Cascata”, è fallito.

Torniamo per la terza volta nella Contrada Rava al solito parcheggio, dove c’è una modesta area attrezzata per le ricreazioni. Questa volta eludendo l’alveo del torrente; individuiamo una labile traccia che ci porta ad una casetta rurale con alcune tende nelle vicinanze. Attraverso un ripido pendio ci inoltriamo in una fitta vegetazione che non lascia quasi intravedere il cielo, ma fortunatamente il nostro passaggio non viene ostacolato. Raggiungiamo un colletto con una radura dal quale si intravede il grande salto della cascata: finalmente! Già questa visione ripaga di tutte le fatiche precedenti, ma non siamo ancora “vittoriosi”. Ad un tratto, dopo pochi metri scompare il bosco a macchia mediterranea e appare quello di faggi cioè: ad alto fusto. Ogni tanto lo scroscio dell’acqua nelle vicinanze ci dice che siamo sulla direzione giusta; ma l’incantesimo del bosco pulito dura poco… All’improvviso incontriamo grossi tronchi caduti, quasi certamente rivenienti da una distruttiva valanga. Tra arbusti nuovi in crescita e piante di vario genere, la progressione è lenta e richiede un largo spreco di energie, che i continui andirivieni rendono ancora più sensibile la fatica. Qui mi viene in mente la famosa frase che Giulio Cesare pronunciò per annunciare la sua rapida e decisiva vittoria contro Farnace II del Ponto a Zela, una battaglia combattuta nel 47 a.C.: “Veni, vidi, vici”. Superata la vecchia slavina si raggiungono delle ripidi cenge erbose, sulle quali sono cresciuti degli esili arbusti di vario genere che proteggono la nostra difficile ascesa. Il fragore dell’acqua è sempre più vicino, significa che ci troviamo sulla giusta direzione. Il gradino di sfondo della valle, con tratti faticosi per la ripidezza, per l’oltrepassare poi quasi orizzontalmente verso destra fino al raggiungimento del torrente Rava. Superiamo l’alveo della Rava per conquistare, attraversando un intrigato colletto, il torrente della Pila: questa volta ci siamo!
Di fronte a noi appare una stupenda cascata alta ca. 90 metri: visione di singolare armonia di tinte, e di proporzioni assai superiori a quelle cui siamo abituati a vedere nei documentari naturalistici. Grazie ad Andrea per avermi accompagnato alla ricerca di un mondo perduto.







