La Grotta del Capraro

Buonasera,
il 22 Aprile u.s. abbiamo realizzato la II invernale della Grotta del Capraro, sempre emozionante quando si conquista tale ricovero pastorale.

a (3)La Grotta del Capraro 2390slm

La Grotta del Capraro cronaca e storia (Boll CAI AQ n.32 dic.1995)

Come è noto, fin da tempi antichissimi, i ricoveri pastorali di montagna furono spesso allestiti a ridosso di grotte naturali, anfratti o cavità sotto la roccia. Col tempo tali ricoveri subirono delle sistemazioni, specie se attorno ad essi era possibile rinvenire legname o pietre. Sorsero quindi nei pressi del ricovero naturale dei muretti di cinta o manufatti di varie fogge.

B La chandelleB l'arrivo alla 'suite' del Capraro

Occorre notare che alcuni di questi ricoveri, sul Gran Sasso ed altrove, sono stati utilizzati fino a pochi decenni fa. Va inoltre osservato che una ricerca su questa tipologia di ricoveri non è stata ancora compiuta: sono state finora oggetto di studio e di censimento quasi esclusivamente le tipologie più complesse e di più rilevante qualità tecnologica, come le “casette” in muratura, le “capanne” in pietra a secco, i complessi di ricoveri ipogei situati sulla media montagna e per lo più legati ad un utilizzo agricolo o agro-pastorale del territorio. Una ricerca sul campo condotta nell’agosto 1995 ci permette di presentare in questa sede la descrizione di quello che a noi sembra il più singolare insediamento pastorale di alta montagna del massiccio del Gran Sasso.

C La grande traccia E Il passaggio chiave F Il grande traverso

Si tratta di un ricovero sotto roccia chiuso da muri a secco posto alla ragguardevole quota di 2390 slm, nel cuore della poderosa bastionata meridionale di Monte Corvo, al margine sinistro di un ampia caverna. Tra i pastori di Arischia è nota la localizzazione del sito, anche se la sua frequentazione è venuta meno oramai da moltissimi decenni: viene descritto come luogo quasi inaccessibile, utilizzato in un tempo imprecisato da un “capraro” e dal suo gregge, che vi trovava ricovero naturale la notte dopo aver pascolato lungo le “staffette”, vale a dire le grandi cenge erbose del Corvo. Non è possibile per ora risalire all’epoca precisa di utilizzazione del sito. Disponiamo per il momento solo di qualche indizio. Abramo Colageo, attraverso ricerche d’archivio, ha verificato che ogni famiglia di Arischia possedeva nel Settecento almeno una capra.

g i l'imbuto I Rifacimento corda

Tra i vecchi pastori del paese si conserva ancora la memoria dell’antica usanza di radunare tutte le capre nel periodo estivo sui pascoli di Monte Corvo, per affidarle alla custodia di un “capraro”. La montagna del Chiarino vide nella prima metà dell’Ottocento costituirsi della grande azienda pastorale dei marchesi Cappelli, tendente, col suo complesso sistema di masserie e di insediamenti minori, all’organico sfruttamento di tutte le risorse del territorio. L’attività delle grandi aziende armentizie si è protratta nella zona fino ai primi decenni del secolo scorso: ancora negli anni venti il “mercante” Ciarrocca, originario di Calascio, affittava per l’estivazione gli alti pascoli della località Solagne. Queste aziende, come è noto, erano strutturate in maniera rigorosa e capillare; precise funzioni aziendali erano attribuite ai vari addetti: c’erano i “mulari”, i “cavallari”, i “casari” ed anche i “caprari”. Non è da escludere quindi che l’insediamento di cui stiamo trattando sia stato utilizzato per il ricovero delle capre delle grandi aziende armentizie, nel 900 o nel precedente, nel quadro di un’organizzazione tendente allo sfruttamento sistematico di tutto il pascolo disponibile. La toponomastica locale del sito è inequivocabile: si tratta della “Rotte ‘e gliu craparu” o anche “gliu Rottò”. Al di la della questione su chi abbia utilizzato il ricovero e su quando lo abbia utilizzato, siamo rimasti colpiti oltre che dallo straordinario contesto ambientale in cui esso si inserisce, dalla quota a cui è situato. Il ritrovamento di un reperto di età longobarda (630-660) sul filo di cresta a q. 2300 da parte di Domenico Gizzi nel 1977 (vds foto “Z” punta di freccia in ferro battuto con lama a foglia di salice o d’ulivo a sezione triangolare con costolatura mediana a cannone porta-ascia a sezione circolare. Lungh cm 8,5 largh.massima cm 1,2 ). Il prof Fulvio Giustizia che ha analizzato il reperto testimonia in ogni modo l’antica utilizzazione dei ricoveri del gruppo montuoso.

L L'immensa cresta Ovest del Corvo O panorama N Monte Corvo 2623slm La Vetta 2623slm

Il prof. Mario Ortolano, nella sua monografia sul Gran sasso, non distinguendo tra ricoveri temporanei quelli naturali e quelli edificati dall’uomo, considerava la “casetta” del Venacquaro, posto secondo lo studioso a quota 2067 mt (ma a quota 2001 nella tavoletta I.G.M. del 1955), come l’abitazione temporanea pastorale più elevata degli Appennini. Abbiamo sottoposto il tema di questa ricerca ad Alessandro Clementi il quale, ritenendolo di sicuro spessore antropogeografico, ci ha sollecitato ad estendere l’indagine ad alcuni ricoveri d’alta quota da lui e da Carlo Tobia scoperti nei pressi della testata della Conca del Sambuco, sul Pizzo d’Intermesoli. Anche per questi ultimi si è imposto pertanto un intervento sul campo, allo scopo di individuarne la localizzazione precisa e rilevarne la quota altimetrica. Pensiamo che questa ricerca contribuisca a documentare quanto alcune attività umane (nel nostro caso il seminomadismo pastorale) si siano spinte in alto, per trarre profitto dalle risorse che la montagna offriva, persino in luoghi selvaggi, dirupati ed impervi, ai limiti estremi della vivibilità.

P La discesa R La cascata q

S Il terzo tempo Z Punta di freccia T L'ospite d'onore

Buona serata, Paolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *