L’origine di Monte Corno – Il Monastero Fortezza S.Spirito d’Ocre – Le grotte speleo Mitraiche

Monte Corno nel sec XIII la prima documentazione del toponimo           di Alessandro Clementi “Crediamo di poter affermare con una certa sicurezza che la prima documentazione scritta del Gran Sasso d’Italia compaia in una biografia  del (Beato)  San  Placido da Roio della prima metà del sec. XIII. Ecco il passo che ci interessa.

Monte Corno 2914slm (oggi Corno Grande)

“Il santo uomo pensando e giudicando che in nessun modo era cosa sicura vivere in mezzo al mondo senza compiere azioni utili dal punto di vista religioso, incominciò a sperare che si verificasse per lui ciò che è previsto nel versetto, laddove si dice che il tempo propizio viene per ognuno ed io rimango solo come uno straniero. Ma la divina pietà non venne meno anzi fu presente prestando aiuto al dubbioso offrendogli rapidamente ciò che egli chiedeva. In effetti v’è un monte che è chiamato Corno innalzandosi a somiglianza di un corno dalla base verso l’alto a mo’ di punta, verdeggiante da ogni parte e ogni tempo per erbe e per alberi, nel fianco del quale, dove viveva un Eremita, in luogo altissimo si pose in modo tale che a quel luogo potesse adattarsi ad un altro versetto: stretto dentro i confini ricerca tutto ciò che sta in alto e volge i passi attraverso sentieri oltremodo duri ed aspri.  Dall’eremita richiese ed ottenne l’abito monacale e sotto la sua regola stette un anno intero tutto debito a Dio con digiuni e preghiere. Ma perché dove era l’ardore dello spirito ivi egli si indirizzava, Placido si trasferì al monastero di S. Nicola che era lì vicino affinché la sua innocenza attraverso il colloquio con molti sapienti, potesse divenire anche scienza. E dopo un anno si recò nella chiesa di S. Salvatore dove, a somiglianza dell’oro che si saggia  nella fornace, imparò a combattere contro gli assalti del mondo, della carne, del diavolo. In effetti la sorella del preposto di questa chiesa rilevò il bell’aspetto del giovane e come quella impudica donna che prendendo la veste di Giuseppe disse: dormi con me, invaghitasi del giovane ogni giorno lo tentava ad azioni nefande. Ma questi consapevole di non poter domare la bestia feroce della carnalità fuggì seguendo l’insegnamento dell’apostolo che dice: fuggite l’oggetto della temuta fornicazione, infatti è più sicuro darsi alla fuga che combattere. E  così Placido salì sul monte di Casentino rimanendovi nascosto per cinque mesi illudendosi così di essersi liberato delle tentazioni. Non venne infatti meno la rediviva tentazione delle donne in quanto dal Casale di Casentino risuonavano nelle orecchie dell’uomo di Dio nuovi canti femminili, ragion per cui quasi disperato non sapeva dove fuggire per riacquistare serenità, tuttavia assumendo quasi le penne, come un’aquila, tra le rocce inaccessibili volle porre il suo nido e cantando a voce spiegata come una gazza  che vola per il cielo, in una scoscesa rupe che impervia precipita sotto il castello d’Ocre visse nascosto per dodici anni.

Ma in verità non è facile nascondere la fiaccola sotto il moggio: molti infatti cominciarono ad accorrere a lui a causa dei suoi prodigiosi miracoli, ma solo pochi a causa della impervietà della rupe potevano arrivare a lui. Anzi , venendo da lui, un sacerdote di nome Simone cadde giù e perì. Se ne addolorò tanto Placido che fu indotto ad abbandonare il suo abitacolo. Se ne venne nel Monte Opaco al di sopra della località Pretula e quivi in una misera capanna tra gli alberi e le selve si sottrasse al contatto degli uomini nutrendosi di foglie e di radici”. Il passo che si è  riportato in traduzione è tratto, come si diceva, dalla vita di S. Placido da Roio  scritta da Paolo da Celano dentro il primo mese della sua morte (Auctore Paulo de Celano, familiariter noto, intra primum ab obitu mensem edita).  Essendo morto Placido il 12 giugno 1248  questa biografia veniva quindi redatta nel luglio dello stesso anno  (Cfr. 12 giugno bollandiano AA.SS. pag  608). Come si è detto, ci si trova, per quanto è dato sapere, di fronte alla prima indicazione della vetta del Gran Sasso con il nome che è arrivato fino ai nostri giorni, ovvero Monte Corno. Ma il toponimo doveva essere già corrente nell’uso comune in quanto la narrazione vi fa riferimento con una scorrevole naturalezza: Nam mons est, qui Cornu vocatur,  e  la descrizione è perfetta: incipiens et in acutum se extollens ad similitudinem cornu, dando inoltre una indicazione molto pertinente quando soggiunge undique herbis et arboribus virorem omni tempore praeconservans, dal momento che precipitando  il Monte Corno fino a 400 m. sul livello del mare, in zona dal clima mite per gli influssi costanti del vicinissimo Adriatico, le erbe e gli alberi verdeggiano quasi per tutto l’anno. Il  Monte Corno si inserisce nell’inquieto peregrinare di un S. Placido asceta che prelude al suo abbracciare la regola cisterciense nel momento stesso in cui, ricevuto nel 1222 il Monte Pretola da Berardo conte di Albe e da sua moglie Realda di Ocre, fonderà nel 1226  il monastero S. Spirito nei pressi di Fossa in territorio di Ocre. Ma ripercorriamo, sempre sulla scorta della biografia, le tappe di questa inquietudine. Tandem asceensionem in corde suo disponens coepit fugam praemeditare, abbandonando la sua terra, i propri parenti, la sua casa, compie il lunghissimo viaggio che per tutto il medioevo fin dal sec. X sarà d’obbligo per raggiungere in Ispagna  S. Giacomo di Compostella (Campus Stellae) nei pressi di Santiago (pur essendo prive di fondamento storico le notizie medievali circa un apostolato di S. Giacomo in Ispagna, si era in effetti stabilito verso Santiago un flusso di pellegrinaggio che costituirà un nodo molto importante delle vie di comunicazioni dell’Europa medievale). S. Placido  rimane a Santiago un intero anno apud fratres  B. Iacobi vivendo quindi nell’obbedienza cluniacense dal momento che quest’ordine aveva assunto fin dal XII secolo una specie di patronato europeo del pellegrinaggio. Ritorna quindi in patria ammalandosi gravemente per circa cinque anni. Risanato, lo vediamo ancora pellegrino alle tombe di vari martiri (quindi forse a Roma) e in Puglia ad limina B. Michaelis Arcangeli.  E’ in questi pellegrinaggi inquieti che decide di raggiungere Monte Corno  e di stabilirvi dimora ascetica. Vive da anacoreta per un anno, seguendo forse la regola camaldolese sulla scorta dell’eremita che già viveva sui fianchi di Monte Corno: A  quo eremita quaesivit et accepit habitum monachalem et sub eius doctrina annum  integrum stetit. Ma poi  trasmigra nel vicino monastero di S. Nicola. Il racconto sembra ricalcare esemplarmente la vocazione della regola dei Camaldolesi che appunto in S. Nicola a Corno avevano un loro insediamento, i cui resti sono ancora oggi visibili e che è testimoniato fin dal 1055, mentre priore ne era Bampone. I Camaldolesi avevano in effetti rivisitato la regola benedettina apportandovi uno spirito di maggiore austerità. Il mezzo più efficace per salvare la vita monastica da un sicuro decadimento era apparso quello della prassi dell’eremitismo. Il cenobitismo non venne tuttavia abbandonato, anzi si creò una specie di complementarità tra il cenobio e l’eremo o quali, pur separati, formavano un’unica comunità. E’ ben nota d’altronde la funzione per così dire pedagogica  che il cenobio esercitava nei confronti degli eremiti. Narra infatti la vita di S. Placido: ad monasterium S. Nicolai quod non longe erat se transtulit, ut eius semplicitas multorum sapientium collocutione fieret prudens. Rimane a S. Nicola, ancora un anno, poi si trasferisce nella chiesa di S. Salvatore  a Fano in quanto capisce che l’eremitismo è un punto di arrivo, partendo appunto dal mondo per resistervi, onde subirvi le prove tanquam aurum in fornace per imparavi a pugnare contra mundi, carnis et diaboli hostiles incursus.  Ne aveva ben ragione come dimostra l’episodio delle tentazioni carnali cui viene sottoposto dalla lasciva sorella del preposto. Viene quindi Placido nel monte di Casentino. Sì, proprio il Casentino ubicato tra Villa S. Angelo e Fossa. L’abitato è appena un casale (a dicto casali Casentini) ovvero un raggruppamento piccolo di famiglie e tuttavia da esso gli giungono i canti tentatori delle donne. Altra fuga in una grotta sotto il  castello d’Ocre. Ci piace pensare  a quella grotta che sotto il nome di rotta della ciciuetta oggi visibile il cui accesso è veramente impervio. Un periodo di prodigi e miracoli. La morte del Sacerdote Simone che tenta di arrivare alla spelonca e che nel tentativo precipita sfracellandosi. Quindi il monte Opaco in località Pretula dove ancor oggi sorge, di schietto gusto francese, il monastero di S. Spirito. E’ il primo anello della catena degli insediamenti cisterciensi nella futura vallata aquilana. In prospettiva  vediamo la fondazione della Città per la quale non riteniamo ininfluente la presenza di questi monaci bonificatori. Dal Monte Corno alla fondazione di S. Spirito una parabola ascendente la cui considerazione è densissima sotto molti riguardi di interessi storiografici.”      

L’interno dell’Eremo del Beato Placido di Monte Circolo. Si intrvedono le rovine del Castello d’Ocre

Il monastero di Santo Spirito si trova in località Pretola vicino a San Panfilo, frazione di Ocre, e rappresenta il primo insediamento cistercense nella valle dell’Aterno e terzo in Abruzzo dopo l’abbazia di Santa Maria di Casanova del 1191 e l’abbazia di Santa Maria Arabona del 1208. La sua storia è raccontata da Muzio Febonio nelle Historiae Marsorum del 1678. Il terreno per la chiesa e una cella monastica venne concesso dal conte Berardo di Ocre all’eremita Placido de Vena nel 1222. Nel 1226 Placido avrebbe ricevuto dal vescovo Tommaso della diocesi di Forcona il permesso per costruire un monastero del quale sarebbe diventato abate. Nel 1248 Santo Spirito diventò monastero Cistercense alle dipendenze di Santa Maria di Casanova, con la direzione presa dall’abate Ruggero. Nel 1632, sotto Gregorio XV, Santo Spirito entrò nella Provincia Romana della Congregazione di San Bernardo in Italia, ma già nel 1652, con Innocenzo X, il monastero rientrò nella campagna di soppressione dei piccoli conventi, riducendosi progressivamente allo stato di rudere. Negli anni ’90 del XX secolo è stato recuperato e restaurato, con la sconsacrazione dell’edificio. Oggi è usato come albergo e sala convegni.

L’ex abitato di Fossa

       

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