NEVAIO PERENNE DEL GRAVONE

di Domenico Alessandri – Alessandro Clementi – Carlo Tobia

DAL BOLLETTINO DEL CLUB ALPINO ITALIANO SEZ. DELL’AQUILA DICEMBRE 1982


Prosegue il numero con la rilevazione di un altro nevaio permanente del Gran Sasso, quello del Gravone che, seppur ormai ridotto al minimo storico delle dimensioni,. sopravvive nonostante inquinamenti e disavventure climatiche.
Nevaio del Gravone
La descrizione. Il bacino del Gravone è ubicato, nella Carta dell’I.G.M. Fog. 140 II NO, tra le latitudini N 42° 26′ – 42° 27′ e le long. E 1 ° 16′ – 1 ° 18′. La sua parte superiore, il bacino di raccolta, ha un’area di circa 2 Km quadrati ed è ben delimitata: a NO dall’articolata cresta del Dente del Lupo, la quale, da q. 2470 scendendo con direzione NE fino al limite del bosco, la separa dall’adiacente circo della parete N del M. Camicia; a SO la cresta sommitale del M. Tremoggia, scendendo con direzione NO-SE da q. 2470 a q. 2244, lo separa dal Vallone di Vradda; a SE una ben definita cresta NE del M. Tremoggia lo divide dal complesso di M. Coppe.

Il bacino di raccolta al minimo

Il bacino di raccolta al minimo

La parte inferiore, il bacino ablatore, ha un’area di circa 1,5 Km quadrati ed• è costituita da un unico ampio canalone detritico delimitato da due costoni boscosi, che convergendo verso il basso, lo strozzano, a q. 1200 dove è stato «incautamente» tagliato dalla «superpedemontana» Castelli – Rigopiano. Nella tormentata topografia della parte superiore, coacervo di canali, dirupi rocciosi, pareti verticali e ripidissimi pendii erbosi, spiccano fra gli altri due elementi morfologici: sono i due collettori principali i quali, come rami di una grande Y, convergono verso il basso per unirsi a q. 1500 nel bacino ablatore. Questo tratto di pendio nord, dalla cresta sommitale fino a q, 1600 circa, è formato da una lunga serie. di strati verticali o subverticali a spessore variabile e stratificazione sempre molto evidente i quali costituiscono di massima tutto il fianco settentrionale della grande piega tettonica che ha generato la catena, del Gran Sasso. Questa serie comprende tutte le formazioni calcaree comprese fra il giurassico medio (cresta sommitale) ed il cretaceo (inizio del bosco).
I pacchi di strati sono tagliati trasversalmente da frequenti fratture e faglie di varie dimensioni che, in seguito alla successiva azione di erosione degli agenti atmosferici, hanno conferito a questo settore il suo tipico aspetto. Procedendo verso il basso, al di sotto dei 1600, la morfologia cambia improvvisamente; qui infatti sotto la falda detritica calcarea, ricoperta quasi sempre da un lussureggiante tappeto erboso, si passa ad una serie di marne mioceniche le quali, data la maggiore plasticità e la minore resistenza all’azione degli agenti atmosferici, conferiscono al pendio un andamento più dolce ed omogeneo. Il ramo destro (sin. orogr.) della Y, il più profondo ed imponente dei due, costituisce la sede, tra le quote 2000 e 1700, del «Nevaio permanente del Gravone». I dati e le osservazioni che seguono sono il risultato di una ricognizione effettuata il 26-9-82, alla fine di un’estate che ha fatto registrare per un lungo periodo temperature medie eccezionalmente elevate per la nostra regione, con una contrazione notevole e rapida già all’inizio della stagione di tutti i nevai permanenti. Una prova indiscutibile di tutto ciò si è avuta nelle ripetute osservazioni del più noto «Ghiacciaio del Calderone»: i dati rilevati sono dunque i seguenti, partendo dall’alto: sotto l’ampio imbuto immediatamente sottostante il salto roccioso della cresta sommitale a E del Dente del Lupo, a q. 2020 un piccolo nevaio triangolare, circa 100 metri quadrati di area e 3 metri di spessore; la-presenza di rigogliosa vegetazione erbosa. Su1 pendio pochi metri a valle del suo limite e caratteristiche strisce orizzontali a monte, sulla parete rocciosa che lo protegge, denotano scarse variazioni di area è notevoli variazioni di spessore.
Tra quota 1900 e 1840, protetto ad E e a S da un’ardita anche se piccola parete rocciosa, un nevaio di 70 metri di lunghezza, 30 metri circa di larghezza e 8-10 di spessore. Si dice impropriamente nevaio poiché esso è nella realtà costituito di ghiaccio verde durissimo in superficie e fittamente stratificato e poroso all’interno, ossia rappresenta solo il nucleo glaciale di un nevaio che nelle stagioni normali dev’essere molto più spesso ed esteso. •Tale ipotesi è suffragata anche dalle caratteristiche del fondo: a valle, fino a q. 1770,esso è costituito da detriti di ogni dimensione a spigoli vivi, senza segni di erosione né la minima traccia di vegetazione, al contrario di quanto si verifica sulle falde o coni detritici laterali.
A q. 1760, immediatamente sotto un ultimo salto roccioso del fondo, il terzo nevaio, di circa 300 metri quadrati di area e 4 metri di spessore; venti metri a valle una molto caratteristica morena a mezzaluna alta tre o quattro metri e larga quanto il fondo del canale: essa denuncia un apporto detritico che non può certamente essere dovuto soltanto all’ultimo piccolo nevaio anzi, avvalorando la precedente ipotesi, lascia supporre che solo qualche anno fa i due nevai fossero un tutto unico.
Domenico Alessandri
L’itinerario Alto
La Nord del Camicia. La esile cengia che la attraversa e che i Castellani chiamano il sentiero della Madonna. Perché solo corpi levitanti riuscirebbero a percorrerla. Il gelo perenne che le ombre permanenti e i recenti ricordi di morte fanno stagnare nei suoi incontaminati colatoi, (Piergiorgio! ripetono certi echi misteriosi ed inquietanti). Tutte queste sensazioni ne fanno un luogo per eletti. Da noi, d’inverno, solo Mimì Alessandri. E d’estate pochissimi. Perché oltre tutto si sbriciola e muta lasciando chiazze bianche. E noi della razza montaliana di chi rimane a terra sempre a percorrere con lo sguardo quei precipizi bellissimi e terrificanti. Gli esclusi. Ma sul fianco orientale della Nord corrono le forre strettissime di Monte Tremoggia su cui incombe arditissimo il Dente dei Lupo. Toponimo antico questo, da fantasia di pastori. Sta quasi a guardia del nevaio perenne del Gravone. Pronuba la scienza (il rilevamento di tutti i nevai permanenti del Gran Sasso), forziamo la mano a Mimì che di buon grado ci accompagna. Saliamo• in cinque da Campo Imperatore alla Sella di Fonte Fredda. Ecco il programma. Due di noi aggireranno Monte Coppe e raggiungeranno il nevaio da sotto. Tre di noi, fra i quali Mimì, lo raggiungeranno da sopra. Bisogna portarsi fin sotto il Dente del Lupo traversando numerose forre disagevoli e precipiti. Ma scopriamo i segni di un sentiero antico e a modo suo maestoso che forse un tempo servì per smistare le pecore in quei pascoli ricchissimi di erbe, umidi, freschi, ma dalle pendenze incredibili (vengono definiti i quinti gradi d’erba). Il sentiero muore sulle pendici del Dente del Lupo dove troviamo una prima macchia di neve. Inizia la discesa per •ghiaioni vergini e perciò facilissimi che immettono ini un primo balzo di cui non si vede il fondo. Mimì osserva, e noi, più che misurare le difficoltà sul terreno, le misuriamo pendendo dal suo sguardo. Va in avanscoperta. Non lo vediamo più, ma a tratti la sua voce ci rassicura. Finalmente riaffiora dal baratro. Il canale centrale – ci dice – è quasi strapiombante e dilavato, ai piedi della parete si distende la parte sommitale del nevaio vero e proprio. Lo si potrà raggiungere aggirando sulla sinistra il canalone. Ci imbrachiamo con le bretelle ed inizia la discesa. Per primo Carlo Bafile. Poi io. È un terreno infido. Gli appigli rimangono in •mano. Poi il prato quasi verticale al termine del quale affiorano consolatorie placche rocciose che vanno a morire nel nevaio. Più che di nevaio è a parlarsi di ghiacciaio: durissimo, compatto, verde come esso è. È mezzogiorno e v’è già ombra fitta da tramonto avanzato, Mimì misura e noi ci sistemiamo nella testata sull’estremità della quale da una galleria scavata nel ghiaccio sgorga acqua di fusione che si perde subito nel ghiaione. Il freddo in quel punto è intenso. La serena estate si distende tuttavia, ancora, nella sua pienezza attraverso quel triangolo di cielo e di- mare lontano e quei colli teramani che si appiattiscono gialli di stoppie all’infinito sotto i nostri piedi. Intuiamo caldo• e cicale nonostante il settembre avanzato. Vediamo molto in basso Giovanni Schippa e Carlo Tobia che escono dal bosco e che iniziano la risalita. Urli e fischi di richiamo che vengono ricambiati. Ora scendiamo al centro del canale saltando sili sassi lisci e dilavati dall’acqua di fusione, quando improvvisamente si presenta un altro baratro che immette in• una comba circondata da pareti precipiti e sul fondo della quale si adagia un altro nevaio circolare. Nella testata si nota una vera e propria morena. Bisogna superare il baratro, senza peraltro che vi siano possibilità di aggirarlo. Le pareti laterali sono bellissime, perentorie e impietose. Mimì incomincia ad attrezzare discese a mezzo barcaiolo e per sé la discesa a corda doppia. «Mani e piedi solo per staccarsi dalla roccia!» – ordina Mimì -. Sospeso nel vuoto. Alienato in quel lento filare della corda cui è legata, per dirla col poeta «la picciola vigilia dei sensi ch’è del rimanente cui non volli negare, questa straordinaria esperienza». Misurazione del nevaio pur esso compatto, durissimo e verde. Oltre la morena altro balzo che superiamo con assicurazione e poi finalmente il bosco e la strada dove ci attendono gli amici che ovviamente non avevano potuto trovare una facile via escursionistica per raggiungere le zone più alte del nevaio. È il tardo pomeriggio. Si va tutti da Vincenzo a Castelli. La terrazza del suo ristorante è uno dei punti di vista più interessanti per la Nord del Camicia. Rivediamo il sentiero della Madonna alle ultime luci del tramonto. Nostalgia di impossibile. L’ospitalità di Vincenzo ci consola e ci accompagna come fraterno viatico per il ritorno. È antica epperciò irripetibile.
Alessandro Clementi
L’itinerario escursionistico
I percorsi escursionistici (1) più brevi per raggiungere la fronte del Nevaio permanente del Gravone (2) danno inizio della strada provinciale pedemontana Castelli-Rigopiano e fanno parte di quell’articolato itinerario denominato «Sentiero dei Quattro Vadi» di cui si è detto in altra parte del «Bollettino».
Venendo da Castelli, dopo aver superato sulla destra la pista (segnalata) che porta al Fondo della Salsa e trascurati i successivi cartelli gialli della segnaletica del «Sentiero dei Quattro Vadi» che s’incontrano sempre sulla destra, fermarsi a quello con l’indicazione Fonte Brecciaro. Da questo cartello iniziare, nel bosco, la salita per comodo sentiero, segnalato con bandierine rosso-gialle, fino all’acquedotto di Fonte Brecciaro m 1300 c. ,h. 0,20, ove s’incrocia il «Sentiero dei Quattro Vadi» indicato con dischi rosso-gialli. A questo incrocio piegare a sinistra e seguire tale «Sentiero» fino al punto in cui questo,uscendo per breve tratto dal bosco, taglia il fosso del Gravone, h 0,20. Da qui iniziare la malagevole risalita del vallone su un fondo pietroso. Dopo aver aggirato sulla sinistra, per ripidi pendii erbosi, due piccoli salti di roccia, riportarsi a destra fino allo sbocco di una stretta forra (m 1600 c.), h 0,45 attraverso la quale la massa nevosa si riversa e si estende nell’ampio cono detritico conservandosi, per la sua consistenza• e la breve insolazione, normalmente anche durante il periodo estivo (3). Venendo invece da Campo Imperatore, bisogna raggiungere Rigopiano ed imboccare la pedemontana per Castelli. A circa 4 Km. s’incontra, sulla sinistra, il cartello con l’indicazione Gravone. Seguire questo itinerario, segnalato con bandierine rosso-gialle, fino ad una carbonaia non più utilizzata dove s’incrocia il «Sentiero dei Quattro Vadi», h 0,30 (4). Proseguire, seguendo la segnaletica per il fondo della Salsa, fino a tagliar ea q. 1300 c. il fosso del Gravone, h 0,2 0. Da qui in poi valgono le indicazioni precedenti.
Carlo Tobia
(1) – C’è anche un itinerario estivo (via C.A.I. Penne) per escursionisti molto esperti e preparati ad affrontare percorsi con tratti di roccia di media difficoltà che risale il Gravone e giunge fino alla Forchetta di Penne (m 2245), sotto il Dente del Lupo (m 2297), e quindi alla vetta di M. Camicia (m 2564). Vedi: C. Landi Vittorj – S. Pietrostefani, Gran Sasso d’Italia, C.A.I. – T.C.I., Milano, 1972, pp. 237-238.Una via invernale è descritta in: F. Antonioli – -S. Ardito, Gran Sasso. Proposte per quattro stagioni, Bologna, 1982, pp. 159 – 160.
(2) – Nel corso di •poco fruttuose ricerche abbiamo trovato cenno del nevaio – noto per altro da sempre agli abitanti dei paesi della zona i quali in passato erano soliti prelevare da esso neve per diversi usi -unicamente nella succitata guida del Gran Sasso di C. Landi Vittorj e S. Pietrostefani alle pp. 237 e 238e a p. 22 della ristampa del 1982. Ci risulta però che intorno agli anni ’50 il nevaio fu fatto oggetto di osservazioni e rilievi da parte dell’allora presidente della Sezione di Penne del C.A.I. Giacomo Lombardi, recentemente scomparso. Osservazioni annuali sulle sue variazioni vengono effettuate a partire dal 1980 dalla Sezione di Farindola del C.A.I. Dai dati forniti dal prof. Mario Marano Viola si rileva, in questi ultimi tre anni, una riduzione ed un arretramento costanti della fronte del nevaio. Per concludere, una breve nota sul toponimo. Dal tema dell’area mediterranea GRAVA hanno origine una serie di toponimi locali: rava (Gran Sasso, Velino, Maiella), gravane, • ravaro (Gran Sasso),gravare (monti del Parco Nazionale d’Abruzzo), gravina (Antiappennino adriatico), che stanno tutti ad indicare forre, canaloni, fossi, crepacci, greti. (La carta topografica del Fritzsche del 1887 e quella dell’I.G.M. del 1894 riportano la forma dialettale caravone.
(3) Quest’anno a fine settembre la fronte del .nevaio era arretrata di circa 150 metri.
(4) Dalla carbonaia dov’è il cartello indicatore per il Fondo della Salsa è possibile arrivare ad una quota più alta del fosso del Gravone, eliminando così un buon tratto della salita sulla pietraia, seguendo una vecchia segnaletica con tondi gialli molto rada e sbiadita che indica tracce di sentiero che vanno in direzione S, consigliabile questo percorso a chi è completamente ignaro dei luoghi.


I NEVAI PERMANENTI DEL GRAN SASSO BOLLETTINO CAI L’AQUILA 1996
NEVAIO DI MONTE TREMOGGIA

Le ricerche nivologiche sul Gran Sasso d’Italia iniziate da parte di Domenico Alessandri, Alessandro Clementi, Carlo Tobia e che hanno portato alla individuazione dei nevai permanenti del Fosso della Rava, della Conca del Sambuco, del Canalone di Fonte Rione, del Gravane, del Fosso del Malepasso e della Valle dell’Inferno (v. “Bollettino” della Sezione C.A.I. dell’Aquila: 1980, n.2, p p . 2 3-2 7 ; 1981,n . 3 , p p . 6- 11; 1982, n.6, pp. L 4-27; 1983, n.8, pp .. 20- 21;1986, n.13, p.27) non si sono interrotte.
Il nostro socio Paolo Boccabella, conoscitore come pochi dell’impervio versante settentrionale del Massiccio di cui sa ogni sentiero, ogni canalone, ogni anfratto il più riposto e sconosciuto, in un sua ricognizione si è imbattuto in un nevaio di cui si era perso il ricordo: si tratta del nevaio permanente del versante Nord del M. Tremoggia sul quale pubblichiamo la relazione inviataci dal Boccabella.
Il nevaio è ubicato nel versante settentrionale del Gran Sasso nel fondo di un canale a Est della vetta di Monte Tremoggia e precisamente alla q. 2062 (I.G.M, F0 140,II NO; lat. Nord 42°26’25” e long. Est l°18′). Esso, di forma pressappoco triangolare con il vertice in alto, e compreso tra le q.1975 e 2062. Ha una lunghezza di circa m 30, è largo alla base circa mt.15, occupa quindi una superficie di 225 mq. circa e presenta uno spessore all’incirca di mt. 3 nella parte superiore. La sua alimentazione è dovuta alle valanghe che scendono frequenti dalla cresta del Tremoggia. La posizione stessa del nevaio, incassato in una stretta gravina, al riparo quindi dei raggi solari, ostacola notevolmente il fenomeno della sua ablazione. Inoltre la natura del suolo che limita considerevolmente la presenza di terriccio sulla sua superficie e l’assenza di calpestii, essendo esso fuori di ogni. itinerario escursionistico consueto, fanno sì che la sua albedo si conservi quasi intatta inibendo così ulteriormente il fenomeno della ablazione.
Per questi motivi il nevaio supera quasi indenne il periodo estivo.
L’ambiente in cui esso si trova, severo e spettacolare, è del massimo interesse ambientalistico e naturalistico. Una faggeta fittissima si estende a perdita d’occhio sotto la struttura rocciosa e tra questa ed il bosco c’è una fascia prativa che agli inizi dell’estate si ricopre di una ricca fioritura anche di specie rare, dove si è avuta la ventura di incontrare un gruppetto di camosci. Dal punto di vista geologico la zona in cui il nevaio del Tremoggia si trova è la medesima di quella della parte alta del Nevaio del Gravane a fianco del quale (Est) esso si estende (v. D.Alessandri, Nevaio del Gravane in “Bollettino” della Sezione C.A.I. dell’Aquila, cit., 1982, n.6, pp.14-15). Il nevaio, data la sua impervia posizione non raggiungibile da muli, non era utilizzato per prelevare neve ghiacciata come invece avveniva per la lingua terminale del nevaio del Gravane o per le nevi persistenti di Campo Pericoli o per la “Neviera” di Monte San Nicola nel Sirente. Il sentiero, accuratamente tracciato, ci fa supporre invece che ad essere utilizzata da greggi e pastori era la sorgente ad esso vicina.
L’itinerario estivo (EE)
Da Campo Imperatore dal Rifugio di Fonte Vetica m 1632 si percorre la via normale (Sentiero 8 /B) fino alla Sella di Fonte Fredda m 1994. Dopo aver superato il colle a quota 2010, quando la via normale sale ripida verso il Monte Tremoggia, si taglia in diagonale, nel versante settentrionale, tutto il pendio per andare a trovare una traccia, piuttosto marcata, che si dirige verso Nord-Ovest. Da ricerche effettuate non si conosce l’origine di questo sentiero, di certo è una traccia opera dell’uomo perché in alcuni tratti più ripidi è evidente che vi sono stati effettuati interventi per superare dei balzi rocciosi. Si piega leggermente verso Nord raggiungendo, in leggera discesa, a quota m 1990, l’ampio nevaio del quale si hanno fondati motivi per ritenere che sia permanente in quanto nel mese di settembre e ottobre, dall’anno 1993 ad oggi, ne è stata rilevata la continua presenza. Una notizia utile: una sorgente con chiare acque perenni, nascosta tra le ghiaie, è situata lungo questo itinerario la cui quota è di m 2050.
La sua precisa ubicazione è facilmente reperibile tenendo come punto di riferimento il sentiero qualche metro al di sopra del secondo salto di roccia detritica .
L’itinerario invernale (EEA)
Presuppone una buona dimestichezza con terreno misto, in quanto anche nei più facili canalini nevosi, dove sono presenti strozzature, tra rocce affioranti e saltini, a inizio e fine stagione, è tutt’altro che raro trovare ghiaccio di fusione. Molte volte è richiesto l’uso di attrezzi da ghiaccio, senza disdegnare leggeri fittoni da neve per il pendio. Molto ripido con neve inconsistente.
L’esposizione a Nord, senza irradiamento solare, rallenta la trasformazione del manto nevoso e su un pendio come questo è più facile trovare neve compressa dal vento. Il mutamento della temperatura non è da sottovalutare perché imponenti valanghe possono battere la zona. Un problema invece è rappresentato dall’orientamento in caso di nebbia, non sempre è possibile facilmente individuare il tracciato e solo una buona conoscenza dei luoghi permette di evitare spiacevoli e noiose perdite di tempo.
Per non fare a ritroso il percorso già fatto, risalire per via obbligata una gobba erbosa evitando sulla destra il salto di rocce alla cui base vi è il nevaio. Qui il sentiero è meno evidente per la conformazione più erta della zona. Seguendo fedelmente i ripidi prati ed evitando piccoli salti rocciosi si perviene sulla sommità del Monte Tremoggia m 2350.
Per la discesa si riprende il sentiero 8/A e, per il Vallone di Vradda, si ritorna a Fonte Vetica. La salita, compresa la piccola discesa fino al nevaio, richiede circa ore 2,30. La discesa, più sbrigativa, per il Vallone di Vradda, ore 1,00. Ovviamente i tempi di percorrenza si riferiscono al periodo estivo. In inverno, come già detto, i tempi variano a seconda delle condizioni del manto nevoso. I periodi consigliati sono tutto il mese di luglio, anche per godere della massima fioritura estiva, e la tarda• primavera per le ascensioni invernali.
DA RIGOPIANO
Oltrepassato in direzione Ovest di un chilometro e mezzo il bivio per il Rifugio Acerbo, imboccare sulla sx. a q. 1250 ca. la dissestata carrareccia che conduce alla Fonte della Torricella m 1740. Risalire la testata della amena Valle Savina fino a q. 2000 ca. dove ci s’innesta all’itinerario precedente (ore 2,45) seguendo il quale si raggiunge il nevaio (ore 1, 15-4).
Paolo Boccabella
Bibliografia CLUB ALPINO ITALIANO-SEZIONE DELL’AQUILA, Gran Sasso d’Italia. Carta dei Sentieri,ssc.1:25000, S.EL.C.A., Firenze,1993. L. GRAZZINI, P. ABBATE, Gran Sasso d’Italia, C.A.I.-T,C;I;, Milano, 1992.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *