La sicurezza e la Montagna

Il tema della sicurezza in montagna si ripropone con la massima evidenza dopo  i recenti tristi avvenimenti che hanno investito  il gruppo del Velino e i monti Sibillini e i miracolosi salvataggi, in zona cesarini, che hanno riguardato il gruppo del Gran Sasso. Ma quello che sembra oramai un bollettino di guerra ha registrato anche nelle settimane scorse, ulteriori vittime sulle Alpi. Per ogni vita che si spegne in questa bellissima attività che è l’alpinismo sia invernale che estivo, nasce in noi  un misto di sentimenti  composto  da pietà umana, meraviglia e anche rabbia. Ciò  è giustificabile dal fatto che l’andare in montagna  è sempre un gesto d’amore inteso come estremo  altruismo  paradossalmente, e senza contraddizione, verso se stessi , ma soprattutto nei confronti delle bellezze naturali che l’ambiente montano  offre senza limiti. L’amore, insito anche nel rapporto uomo montagna, è simbolo di vita e da qui l’impossibilità di accettare che l’esistenza possa spegnersi nei luoghi in cui essa trova la sua più bella giustificazione e forse il suo stesso fondamento.             Vita e morte dunque coesistono in un equilibrio  delicatissimo ogni volta che si decide di affrontare la montagna inteso come spazio nel quale sperimentare le proprie capacità che dovrebbero essere sempre fondamentalmente atletiche. In quel delicato  equilibrio consiste l’attitudine al rispetto di se stessi, della propria vita, ma anche dell’ambiente che vogliamo esplorare.  La “sfida” lanciata alla montagna è sempre pericolosa perché c’è in agguato la sopravvalutazione delle proprie capacità e la sottovalutazione di un ambiente che impone esperienza,  accortezza  e buon senso a chi lo attraversa.  Il fascino della verticalità e dell’ascensione esprime l’aspirazione  dell’uomo alla conquista dell’altro da sé, in una continua tensione verso l’assoluto. Tuttavia questa condizione  preliminare non può offuscare  chi si avventura lungo itinerari di evidente difficoltà tecnica, magari con condizioni meteo, chiaramente segnalate dagli organismi competenti, che preludono a vere e proprio previsioni di pericolo, siano esse distacchi di masse di neve sotto forma di valanghe o slavine, ma anche di perturbazioni comunque pericolose per qualsiasi forma di escursionismo. Il punto è che la scarsa considerazione della propria esistenza, compromette a volte anche quella degli altri e allora siamo costretti a parlare di una vera tragedia  spesso assolutamente evitabile, con il solo buon senso. Amare la montagna e le infinite possibilità che essa offre per lo svago  e l’attività fisica, significa riconoscerla come madre/terra e come tutti i rapporti madre/figlio la morte per omicidio è sempre un’anomalia. In questo caso qualcosa non funziona e parliamo della tragica fatalità, quasi a voler trovare una giustificazione  che può risiedere solamente all’imperizia o imprudenza dell’uomo. In ogni caso “la nostra libertà finisce quando inizia quella degli altri” e ciò vale anche nel caso delle scelte funeste compiute in montagna, a valle delle quali c’è il rischio, e a volte, come diverse volte accaduto, anche la morte di chi soccorre, spesso in modo volontario, spinto da uno slancio che l’essenza stessa della vita che si oppone alla morte e non si rassegna ad essa. Anche il cambiamento climatico, specialmente in quest’ultimo ventennio, impone a tutti noi una riflessione ulteriore. Ma questa è un’altra storia da approfondire in altra sede.   Cultura, rispetto e senso del limite sono tre termini desueti un po’ a tutti i livelli, in questa società dove sembra possibile, abbordabile, da prendere e consumare, fosse anche la propria esistenza. Al di là di ogni atto normativo, sebbene necessario, che imponga comportamenti più assennati anche in montagna, credo che in quelle tre parole ci sia la sintesi della soluzione per riappropriarsi di un rapporto più giusto ed equilibrato con il mondo circostante.


Le cascate di ghiaccio visibili dalla SS 80

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